Rotonda, 28 aprile 2002, c'è il funerale del "Cinese". No non è Sergio Cofferati, ma Pietro De Marco, operaio, schiacciato da materiali per la costruzione di tralicci durante un operazione di carico e scarico.
All'arrivo di queste notizie si reagisce in modo contraddittorio. Si pensa subito "speriamo che non sia Tizio" e poi scopri che è capitato a "Caio".
Si pensa all'ultima volta che lo hai incontrato, alla birra che non gli hai offerto, al caffè lasciato in debito, alla battuta divertente che ti ha raccontato. Oppure ti chiedi "ma chi era?" Si pensa ad una vita fatta di polvere, unto, bestemmie, sole cocente, ma anche freddo che ti ghiaccia le mani, dolori alla schiena. Si pensa ad una vita fatta di rassegnazione davanti alle umilianti trasmissioni televisive ricche di cosce, seni e miliardi che non avrai mai tra le tue mani. Si pensa ad una vita fatta di "abnegazione al lavoro", di lotte sindacali fatte solo da chi può permetterselo, di accordi sulla tua pelle, di sindacalisti, ispettori, politici e polizie che non fanno il loro dovere.
Di pensieri e frasi fatte come "devo pensare ai miei figli", "ho famiglia". Una vita fatta di troppa stanchezza per ascoltare chi parla di te e dei tuoi interessi. Di una vita fatta di mancanza di tempo per imparare a leggere e leggere un giornale che ti spiega chi sta dalla tua parte e chi è contro di te. Di una mente che funziona sempre più lentamente, perché uccisa dalla stanchezza di pensare che possa esistere un mondo migliore di questo.
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